di Cristina Vitulli
Un intervento sulla didattica della Shoah fornisce uno stimolo alla discussione sulla importanza della conservazione della memoria e della sua trasmissione alle nuove generazioni e, per estensione, sulla funzione docente nella società contemporanea. Non è dunque superfluo in apertura sottolineare l’importanza di trattare nella scuola il tema della shoah, non solo perché esso rappresenta un nodo fondamentale della storia del Novecento, ma anche e soprattutto perché offre un’opportunità formativa. [Cfr. Enzo Traverso (cur.) Insegnare Auschwitz, Bollati Boringhieri, Torino 1995.] La riflessione sulla shoah può diventare una riflessione sulla negazione dei diritti , dunque una riflessione sulla attualità e sulle discriminazioni e, in quanto tale, afferisce all’ambito delle competenze di educazione alla cittadinanza, trasversali alle diverse discipline. In particolare si fa riferimento al raggiungimento dei seguenti obiettivi: acquisizione e interpretazione di informazioni; individuazione di collegamenti e relazioni; capacità di agire in modo autonomo e consapevole. Dunque la decodificazione del passato serve ad acquisire una visione critica del presente e pervenire ad una assunzione di responsabilità. [Cfr.Milena Santerini, Antisemitismo senza memoria. Insegnare la shoah nelle società multiculturali, Carocci,Roma 2005.]
L’interesse per la shoah nella scuola è cresciuto esponenzialmente negli ultimi decenni. Nel dopoguerra ,fino agli anni sessanta, il tema della shoah non occupa un posto importante nella scuola per due ordini di motivi . Il primo riguarda la marginalizzazione all’interno del curricolo di storia delle vicende del novecento a causa della scansione stessa dei programmi. Il secondo motivo è di natura ideologica, ovvero il timore da parte di alcuni docenti di “ fare politica” a scuola e quindi di riaprire ferite non del tutto cicatrizzate della storia recente. Non a caso una sorte analoga tocca allo studio della Resistenza.
La sensibilità a queste problematiche è legata alla generazione della contestazione che vuole fortemente un confronto con i padri sui temi della guerra e delle dittature, sollecitando, prima nel ruolo di studenti e poi in quello di docenti, un dibattito sull’argomento. Un passaggio ulteriore è fornito indirettamente dai programmi Brocca che aprono un dibattito sulla didattica della storia , anche se l’impulso maggiore viene nel 1996 dal Decreto Berlinguer che impone la trattazione del Novecento per un intero anno scolastico .Il passo definitivo è la Dichiarazione del Forum di Stoccolma sull’olocausto nel 2000 a cui fa eco il Progetto dei ministri europei dell’istruzione nel 2002, dunque l’ impegno a sostenere l’ educazione all’olocausto, a preservare e mantenerne il ricordo, a promuovere l’apertura degli archivi e ad istituire in ogni paese il giorno della memoria. [In questo contesto richiede una attenzione particolare l’Education Working Group composto da pedagogisti ed educatori esperti nel campo della didattica della shoah con il compito specifico di promuovere l’insegnamento e la ricerca sulla shoah. In particolare questo gruppo di lavoro ha cercato di rispondere a tre quesiti fondamentali: perché insegnare l’Olocausto; cosa insegnare sull’Olocausto; come insegnare l’Olocausto
I materiali sono scaricabili dal sito www.istruzione.it/shoah-itfitalia/index.shtml.]
Quest’ultimo oggi presenta purtroppo dei limiti, poiché, in quanto rituale istituzionalizzato, ha perso la forza iniziale ,creando negli studenti indifferenza, se non a volte addirittura fastidio. La sovraesposizione mediatica dell’argomento si è tradotta in una banalizzazione della tematica e in una saturazione dell’interesse. Pertanto per ridare forza e dignità alla riflessione sulla shoah non la si può limitare al giorno della memoria , ma occorre affrontarla all’interno di un percorso organico di ampio respiro che raccordi la tematica al suo contesto contemporaneo, in particolare a quello della guerra, risolvendo il dubbio sulla liceità della comparazione storica della shoah con altri eventi tragici contemporanei, possibile, a mio avviso, salvaguardando l’unicità dell’evento,ma riportandolo su un piano più generale nell’alveo del progetto nazista di distruzione della diversità.
In questo percorso è importante inoltre recuperare una conoscenza della storia degli ebrei nel suo divenire, storia in cui essi appaiano non solo come vittime , ma anche come soggetti attivi. Conoscere la storia ebraica significa non fare degli ebrei una categoria metastorica ,come potrebbe apparire agli studenti costretti ad occuparsi della shoah in modo rigidamente puntuale.
A tal proposito si possono ipotizzare, all’interno della programmazione didattica, delle finestre aperte sul tema della storia ebraica , dell’antisemitismo e della shoah .
Tutto ciò riguarda la conoscenza del nostro tema, tuttavia ,come è ben chiaro a chiunque si occupi di didattica, nessun apprendimento è veramente efficace se trascura la componente emotiva. L’emozione si genera da una esperienza “altra” rispetto allo studio tout court. Nel nostro caso essa può nascere da apporti diversi , quali la testimonianza, la visita ai luoghi della memoria, la fruizione di un prodotto artistico o letterario.
Il nodo centrale è costituito dal rapporto tra conoscenza ed emozione. E’ su tale rapporto che si fonda la scommessa di un valido processo di crescita intellettuale, personale e sociale. Va comunque sottolineato che la conoscenza rimane la base imprescindibile perché l’emozione si trasformi in apprendimento. Dunque la conoscenza viene prima dell’emozione in senso assiologico e non cronologico.
Nel caso della shoah è fondamentale spiegare quello che è giudicato inspiegabile, capire i meccanismi che hanno reso possibile il nazismo e la sua conquista del potere con una attenzione non solo alle vittime e ai carnefici, ma anche agli spettatori. Proclami retorici contro la shoah, anche se condivisibili, da soli non contribuiscono a creare una coscienza storica nei ragazzi e possono addirittura generare un senso di impotenza. Non dimentichiamoci che il nostro obiettivo rimane una crescita critica e responsabile del discente.
Tornando alla proposta emozionale, essa deve essere calibrata sul gruppo classe o interclasse in base a parametri standard (quali ad esempio l’età), ma anche in base alla possibilità di generare empatia. Per degli alunni adolescenti, ad esempio, potrebbe essere importante un processo di identificazione con vite di ragazzi costretti a nascondere la loro identità ,ad abbandonare la casa , gli amici e le abitudini. Oppure per delle ragazze sarebbe interessante un percorso di genere, dunque delle testimonianze al femminile. [Cfr. Ravensbrück seen through the testimonies of Italian survivors , intervento di Alessandra Chiappano al “Seminario internazionale a Ravensbrück dal 30 agosto al 4 settembre 2009”, disponibile in www.landis-online.it, Lucille Eichengreen, Le donne e l’olocausto, Marsilio 2012] La valutazione della proposta deve essere degli insegnanti che, conoscendo gli studenti in prima persona, possono trovare le migliori strategie di approccio alla materia. Ecco perché è sconsigliabile lasciare i propri studenti in mano ad esperti esterni senza aver stabilito in precedenza con gli stessi esperti uno scambio finalizzato ad un lavoro sinergico.
A questo punto va introdotto un concetto pedagogico fondamentale: può essere controproducente indulgere su aspetti macabri o iper-realisti dello sterminio o ancora, in modo sovrabbondante, sulla “soluzione finale”. Tali elementi sono sempre presenti nella trattazione del tema ,anche senza una loro sottolineatura o una loro descrizione minuziosa che potrebbe produrre una condizione virtuale, simile alla visione di un film dell’orrore, cioè un’esperienza intensa, ma circoscritta ,su cui poi risulterebbe difficile esercitare una riflessione.
Tornando alle proposte-stimolo, un esempio classico e sempre efficace è la testimonianza del sopravvissuto che diventa portatore di storia.
Anche per i testimoni si è avuto un interesse e un coinvolgimento crescenti a partire da Processo Eichmann che rompe il silenzio , portando alla ribalta i protagonisti in carne ed ossa della tragedia dell’olocausto e riconoscendo al sopravvissuto un’identità sociale [Wieviorka, L’avvento del testimone, contenuta in Aa. Vv., “Storia della Shoah”, UTET, Torino 2006]. Il testimone è portatore di una soggettività, egli, infatti, racconta una storia unica ,che diventa,però, paradigmatica , e rappresenta un tassello in un mosaico più ampio che va comunque sempre ricostruito in quel rapporto tra soggettività e storia che serve al nostro scopo didattico-pedagogico. Purtroppo per ragioni cronologiche la testimonianza diretta è sempre più rara, tuttavia ,se utilizzata correttamente, anche la testimonianza raccolta (filmata o scritta) può risultare efficace.
Se il testimone rappresenta la memoria del singolo, il luogo-museo riguarda quella collettiva, dunque anche il rapporto con quest’ultimo può rappresentare una forte occasione di coinvolgimento. La visita al luogo della memoria, sia che si tratti di un luogo reale sia che si tratti di un museo, richiede uno sforzo di immaginazione e di riflessione. Esso, infatti,nella sua fisicità si è trasformato anche quando si è cercato di
salvaguardarlo il più possibile nella sua originalità, ma soprattutto si è trasformata la sua funzione. Occorre immaginarlo come era sentendolo, immergendosi in esso , ma occorre anche ricostruirlo come era con un approfondimento cognitivo. Pertanto la visita ad un luogo della memoria deve essere preparata accuratamente all’interno del percorso didattico sulla shoah intrapreso. E’ importante sollecitare il confronto con gli studenti prima , durante e dopo la visita. [Cfr. Annette Wieviorka, Auschwitz, 60 ans après , Robert Laffont, Paris 2005]
Per quanto riguarda la fruizione di un prodotto artistico-letterario la scelta è ampia e variegata. È innegabile la funzione coinvolgente del teatro ,e in particolare delle letture sceniche ,come delle innumerevoli possibilità offerte dalla filmografia, che non devono obbligatoriamente vertere su film cosiddetti storici, ma anche su proiezioni che trattino il problema in situazioni differite nel tempo o indirettamente. Ugualmente stimolanti sono i percorsi legati alla iconografia di cui si può disporre in modo ampio.[ Andrea Minuz,La shoah e la cultura visuale. Cinema, memoria, spazio pubblico, Bulzoni , Roma 2010] In particolare l’attenzione può essere posta al problema della comunicazione ponendo l’accento sui diversi linguaggi e sul loro uso in chiave propagandistica. A tal proposito la conoscenza del linguaggio utilizzato nell’ambito della shoah deve precedere qualsiasi altro intervento sull’argomento. Facciamo un esempio concreto. La conoscenza della terminologia relativa ai campi di concentramento è indispensabile per non banalizzare l’argomento e appiattirlo, come a volte accade, sulla vicenda dei campi di sterminio. Quello dei campi era un vero e proprio mondo le cui gerarchie interne erano molto più complesse di quanto si possa immaginare e la sua organizzazione rispondeva a logiche politiche e ideologiche ben precise. Uno strumento per la comprensione di tale mondo è proprio lo studio del linguaggio che ci aiuta penetrare la logica del nazismo. Tuttavia è pedagogicamente sconsigliabile usare automaticamente il lessico del nazismo senza averlo spiegato , in ogni caso esso andrebbe usato sempre in modo virgolettato per accentuarne la distanza storica , ideologica ed emotiva. Talvolta anche le parole possono essere dotate di un fascino in sé per la loro musicalità e l’affezionarsi ai suoni nella fase della costruzione del sé senza averli compresi a pieno può purtroppo veicolare dei messaggi errati o pericolosi.
Da tutto ciò appare chiaro che il discorso sulla shoah ,proprio per la sua valenza di educazione alla cittadinanza, pur avendo il suo punto di forza nello studio della storia, necessita di un approccio pluridisciplinare .Deve dunque esserci una sinergia tra le varie discipline a partire dalla programmazione delle attività.
Una programmazione per competenze può fornire una soluzione al problema della convergenza delle discipline in un unico percorso, è possibile per esempio ipotizzare l’elaborazione e la successiva valutazione di un prodotto che sia il punto di arrivo di una trattazione sulla shoah in un prospettiva multidisciplinare o ,nel biennio, pluriassiale.
Nella didattica della shoah occorre evitare il più possibile di sottoporre gli alunni a interventi la cui logica sia quella di una comunicazione unidirezionale del sapere, secondo l’idea che l’incontro tra docenti e discenti sia un mera trasmissione di contenuti da recepire in modo passivo,pertanto è importante avvalersi di una didattica laboratoriale.
Occorre dunque progettare un ambiente aperto per l’apprendimento, esso deve essere un laboratorio virtuale in cui tutti i soggetti ( alunni ,insegnanti, operatori esterni alla scuola) ,utilizzando strumenti, concetti, conoscenze, si scambino, idee, dubbi, esperienze alla ricerca di risposte ,anche non definitive. Il lavoro deve essere svolto ovviamente in funzione del raggiungimento di quelle competenze che abbiamo evidenziato all’inizio restituendo allo studio e alla conoscenza della shoah la sua naturale funzione formativa.
Bibliografia
Cfr. Enzo Traverso (cur.) Insegnare Auschwitz, Bollati Boringhieri, Torino 1995.
Cfr.Milena Santerini, Antisemitismo senza memoria. Insegnare la shoah nelle società multiculturali, Carocci,Roma 2005. In questo contesto richiede una attenzione particolare l’Education Working Group composto da pedagogisti ed educatori esperti nel campo della didattica della shoah con il compito specifico di promuovere l’insegnamento e la ricerca sulla shoah. In particolare questo gruppo di lavoro ha cercato di rispondere a tre quesiti fondamentali: perché insegnare l’Olocausto; cosa insegnare sull’Olocausto; come insegnare l’Olocausto
I materiali sono scaricabili dal sito www.istruzione.it/shoah-itfitalia/index.shtml.
Ravensbrück seen through the testimonies of Italian survivors , intervento di Alessandra Chiappano al “Seminario internazionale a Ravensbrück dal 30 agosto al 4 settembre 2009”, disponibile in www.landis-online.it.,
Lucille Eichengreen, Le donne e l’olocausto, Marsilio 2012
Wieviorka, L’avvento del testimone, contenuta in Aa. Vv., “Storia della Shoah”, UTET, Torino 2006
Annette Wieviorka, Auschwitz, 60 ans après, Robert Laffont, Paris 2005
Andrea Minuz, La shoah e la cultura visuale. Cinema, memoria, spazio pubblico, Bulzoni, Roma 2010